LA CASA COLONICA TOSCANA

Parliamo ancora della casa colonica toscana attingendo ad un breve saggio del prof. Italo Moretti dell’Università di Siena. La casa colonica sta all’origine della rinascita turistica della Regione Toscana. Senza casa colonica toscana oggi non ci sarebbero gli agriturismi di cui anche il Mugello è ricco.

Teniamo presente però che nell’edilizia rurale potrebbero rientrare a buon diritto anche la villa e la fattoria. Del resto, in Toscana, villa, fattoria e la casa colonica toscana appartengono allo stesso mondo, che è poi quello della mezzadria. Mugello&Tuscany è impegnato a valorizzare la gloriosa storia della casa colonica toscana come luogo di vacanza (dai un’occhiata ai nostri agriturismi).

Un mondo oggi scomparso che, già nel basso Medioevo, collegava strettamente città e campagna. Un mondo che appariva come risultato e base di esistenza della civiltà comunale nel suo stadio più evoluto.

Come era strutturata la casa colonica toscana?

Il nucleo centrale del podere, non necessariamente costituito da un unico appezzamento di terreno, comprendeva vari edifici. Vi si trovava la “casa da lavoratore”, la stalla e la capanna per il bestiame e gli strami, il forno, l’aia. Spesso anche la residenza saltuaria del padrone, quando si recava in “villa” per controllare il mezzadro e godere i piaceri della campagna.ù

Questi edifici e il sistema di coltivazione promiscua sono stati alla base del “bel paesaggio toscano” descritto da H. Desplanques. Realizzato “come un’opera d’arte da un popolo raffinato”. Quello stesso “popolo che ordinava nel Quattrocento ai suoi pittori dipinti ed affreschi”.  Durante i secoli, ha finito per riflettersi «nel disegno dei campi, nell’architettura delle case toscane».

Quello della casa del lavoratore strettamente legata al podere è dunque uno dei suoi elementi identitari.

Conosciuta oggi come “casa colonica toscana”, dopo la mezzadria, è rimasta la testimonianza più significativa del paesaggio agrario toscano.

Le prime raffigurazioni di “case da lavoratore”, rese significative dalla natura politica e celebrativa del dipinto, stanno nella campagna umanizzata. Il primo illustre esempio è la campagna raffigurata da Ambrogio Lorenzetti nel Buon Governo affrescato nel Palazzo Pubblico di Siena nel 1338.

Dati sostanzialmente analoghi emergono anche in raffigurazioni fiorentine della seconda metà del Quattrocento. Ad esempio, nel paesaggio che fa da sfondo nella Natività, affrescata tra il 1460 e il 1462 da Alessio Baldovinetti. La natività si trova nel quadriportico (detto anche “Chiostrino dei Voti”) che precede la basilica della Santissima Annunziata di Firenze.

Il paesaggio che fa da sfondo alla scena sacra raffigura una pianura percorsa da un fiume sinuoso. Probabilmente l’Arno, mentre le due città lontane, cinte di mura, sarebbero Prato e Pistoia. L’ispirazione è alla campagna fiorentina disseminata di case modestissime. Vi sono anche abitazioni dalla volumetria più articolata nelle quali emerge una struttura a torre.

Ciò che emerge sulle case dei lavoratori da queste raffigurazioni è la loro sostanziale modestia per dimensioni e struttura. Si tratta, infatti, di edifici organizzati su due bassi livelli, con poche e piccole aperture. 

Al piano terreno la stalla e la tinaia e a quello superiore la cucina (la “casa” del contadino toscano) e la camera. Poveri erano anche i materiali da costruzione: terra, argilla e paglia.Soltanto a partire dal Trecento inoltrato, sembra sia stato introdotto l’uso della pietra locale, mattoni e legname.

A questa organizzazione della casa rurale su due livelli, in seguito si aggiungerà anche la piccionaia, erede forse della casa-torre medievale . A questa si deve aggiungere lo spazio esterno del “resede” (aia, orto, pollaio, ecc.).

Quindi la casa colonica toscana, è sia abitazione della famiglia del lavoratore e sede delle attività lavorative.

In ciò è forse da ravvisare qualche analogia con la casa e il laboratorio dell’artigiano della città o del borgo di contado.

Certamente si tratta di aspetti caratterizzanti la dimora rurale, che si manterranno fino al termine della mezzadria. Della medievale “casa da lavoratore”, per la sua intrinseca fragilità, sono in pratica scomparse le testimonianze materiali. Infatti solo il concetto di essenzialità è sopravvissuto al medioevo.

In pratica le strutture medievali che si possono osservare in molte case coloniche sono in realtà resti di “case da signore”. Tali case signorili furono declassate dopo la grande crisi demografica di metà Trecento. Tale crisi permise «di operare una scelta all’interno del patrimonio edilizio divenuto ora sovrabbondante rispetto alle necessità».

Non mancano però occasioni di riutilizzo del cassero di un castello o di strutture medievali d’altra origine, ma architettonicamente affini per caratteri costruttivi. Ciò non toglie che si registrino casi in cui la “casa da signore” ha mantenuto nel tempo la sua funzione originale, essendo stata trasformata in villa. Così come molti palazzi della città hanno inglobato al loro interno le torri medievali che furono della famiglia.

Può sembrare un paradosso, che sia stata la “casa da signore” e non la “casa da lavoratore” a diventare «il nucleo generatore della dimora rurale». Intorno al questo nucleo si aggregarono nel tempo, dettati dalle necessità della famiglia mezzadrile, altri corpi di fabbrica generando pregevoli esempi di architettura spontanea».

Questa lenta trasformazione nel tempo della dimora rurale è documentata ampiamente da numerose vedute del XVI e XVII secolo. Esse sono state lasciate da artisti operosi a Firenze, quali il mugellano Francesco d’Ubertino, detto il Bachiacca (1494-1557). Poi Giulio Parigi (1571-1635), Remigio Cantagallina (1592-1635), Jacques Callot (1592/3-1635), Justus Sustermans (1597-1681) e Baccio del Bianco (1604-1657).

Queste vedute sono spesso riferibili agli immediati dintorni di Firenze. Vi si nota spesso una torre attorno alla quale si sono formati nuovi corpi e spesso anche una loggia. È questa una componente che, insieme alla piccionaia (parte alta della torre) diventeranno elementi distintivi della dimora rurale.

Da queste case, il cui divenire potrebbe essere definito “organico”, in quanto giunte alla loro forma definitiva attraverso addizioni dettate via via dalle necessità contingenti della famiglia mezzadrile del momento, si giunse nel Settecento a un tipo di architettura dettata da principi di razionalità.

Si tratta di quei principi che furono propri di ogni ramo del sapere di questo secolo. In agricoltura, portarono alla nascita di accademie come quella dei Georgofili, sorta nel 1753. Essa fu la prima e la più importante del suo genere in Italia e tra le più illustri d’Europa.

La ripresa dell’agricoltura comportò una necessaria costruzione di nuove case rurali su nuove basi di razionalità agraria. La formazione di nuovi poderi portò a una maggiore attenzione ai caratteri architettonici della casa colonica toscana.

Sotto quest’aspetto si distingue il trattato sulle “case de’ contadini”, pubblicato da Ferdinando Morozzi nel 1770. Egli fu un architetto e cartografo nato a Siena, che fu anche socio e collaboratore dell’Accademia dei Georgofili. Basterà ricordare che il Morozzi, distingue le case a seconda che il podere sia di montagna, di piano o di collina. In ogni caso, l’organizzazione dei locali è sempre distribuita su due livelli, salvo l’eventuale piccionaia. L’attenzione è rivolta non solo all’orientamento della casa, ma, dettagliatamente, ad ogni sua componente.

Si può dire, che quello del Morozzi è «un progetto che prevede un complesso notevole di ambienti. Ciascuno di essi in funzione della serie completa delle operazioni domestiche e rurali che debbono essere svolte dalla famiglia colonica». Aggiunge poi che si tratta di «un progetto, la cui realizzazione garantirebbe all’unità poderale la più assoluta autonomia produttiva».

Viviamo in una stagione di nuovi interessi per l’agricoltura e per la casa mezzadrile. La costruzione ex novo della casa colonica toscana assunse allora una consapevolezza architettonica sconosciuta. Una consapevolezza di costruire qualcosa di significativo che giunse fino a lasciare il ricordo dell’iniziativa. Data e magari il nome dei committenti e del costruttore, come negli edifici importanti. Vale, infine, la pena di accennare ai caratteri formali o, meglio, ai modelli, seppur remoti, di questa architettura rurale. Essa si realizzò principalmente tra Sette e Ottocento, talvolta con appendici anche nel primo Novecento.

Si è giustamente fatto notare che se la grande architettura è arte, l’architettura minore può essere un buon artigianato.

Questo si ispira di solito ai modelli aulici e, nel caso delle grandi case coloniche toscane del Valdarno Superiore e della Valdichiana, ma anche di altre parti della Toscana. Dal Mugello, al Chianti e alla Valdelsa, il riferimento va al modello di “rusticità” creato da Bernardo Buontalenti, a partire dalla paggeria della villa di Artimino.

Lo si avverte in modo particolare nella chiarezza dei volumi, nella simmetria delle aperture. Nei loggiati sovrapposti sulla fronte principale e nelle torrette piccionaie simmetriche e nell’arredo architettonico.

Nel Senese, invece, il modello scaturisce da certi caratteri di classicità.  Baldassarre Peruzzi li introdusse in alcune ville della campagna attorno a Siena. Ad esempio, l’incompleta villa dell’Apparita e quella di Monticello, oltre a quella “peruzziana” Venturi a Santa Regina.

Come già osservato in altra occasione, si tratta di quegli edifici rurali con due ordini di arcate in cotto, talora disposte entro un’intelaiatura di lesene e trabeazioni. Tale assetto secondo un modello che, nella campagna senese, specialmente vicino alla città vanta esempi fino ai primi del Novecento.

Cerchiamo di riassumere queste poche e sommarie considerazioni sui caratteri identitari della dimora rurale toscana. Una grande varietà di tipologie presenta la casa colonica toscana nelle varie aree regionali.

Tuttavia si possono riassumere in quattro direttrici fondamentali.

1) Lo stretto collegamento con il podere da lavorare
2) La sua essenzialità
3) L’organizzazione della casa su due livelli
4) Nel collegamento dei caratteri architettonici con la cultura cittadina. Tuttavia questo legame con la città sta nella sua ragione di essere fin dalla sua origine medievale.

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